Roberta Iotti
Raffaello (Il principe delle arti) 1520-2020
Dopo aver omaggiato la figura e l’opera di Leonardo nel quinto centenario della morte (2019), il maestro Daniele Poltronieri e i suoi allievi ricordano quest’anno il medesimo anniversario della morte di Raffaello Sanzio con la consueta mostra delle opere realizzate sui tavoli de L’Atelier.
Sono tre i dipinti della bottega Santi che raccontano il passaggio di testimone tra il padre Giovanni, morto prematuramente nel 1494, e il figlio Raffaello, avviato alla scuola di Pietro Perugino, ma talmente talentuoso e precoce da avere già un atelier suo nel 1500, a soli diciassette anni: la dolce Madonna con il Bambino affrescata su una parete della casa urbinate e quasi sicuramente eseguita per intero da un giovanissimo Sanzio; il Ritratto di Elisabetta Gonzaga di Montefeltro, al quale i due artisti lavorarono insieme e che infatti risulta ancora piuttosto rigido dentro l’impostazione figurativa paterna; infine il limpidissimo Ritratto di Guidobaldo di Montefeltro duca di Urbino, il marito della Gonzaga e il figlio del grande Federico, in cui la figura frontale, sontuosamente abbigliata di nero, si ammorbidisce nei lineamenti chiari del principe e nello splendido paesaggio alle sue spalle, soffuso di una luce violetta: la firma di Raffaello già autonomo e consapevole del proprio stile. Da lì in poi la sua carriera esplose e fu sempre coronata dal successo.
Che la sua attività si svolgesse in Umbria, a Firenze o a Roma poco importava, la “bella maniera” delle sue opere – una miscela piacevolissima di grazia, armonia, perfezione ideale e luminosità –, poi declinata nella cosiddetta “grande maniera” delle Stanze di Giulio II in Vaticano, era cresciuta dentro il Rinascimento guardando, sì, a Leonardo e a Michelangelo, ma con le radici piantate nella bottega urbinate, e i rami che salivano altissimi fino al favore di ricchi mecenati, sovrani di stati, cardinali e pontefici.
Amabile e amato, intelligente e abilissimo, artista instancabile e perfettamente puntuale nelle consegne dei dipinti commissionati, grande organizzatore di cicli e di cantieri pittorici, molto apprezzato e richiesto, e dunque anche ricco, Raffaello rappresenta il principio, l’apice e la fine del Rinascimento. La sua morte improvvisa a soli trentasette anni, e per giunta nello stesso giorno della nascita, il 6 aprile, cadde in un anno, il 1520, che vide la scomparsa di altri due personaggi emblematici dell’ambiente rinascimentale romano, il cardinale Ippolito I d’Este, cadetto della nobile famiglia alla guida di Ferrara, e il banchiere Agostino Chigi, per il quale Raffaello aveva realizzato ad affresco le Storie di Amore e Psiche nella loggia della villa detta più tardi “La Farnesina”. L’anno prima era morta Lucrezia Borgia. L’anno dopo sarebbe morto il pontefice Leone X Medici. Cosicché il 1520 divenne anche per i convenzionali confini temporali della storiografia l’anno in cui si spense la grande, irripetibile stagione della rinascita classica.
Nel 1527 il violentissimo sacco di Roma a opera dei lanzichenecchi di Carlo V d’Asburgo la concluse del tutto e in modo traumatico, provocando la fuga dall’Urbe e la diaspora attraverso l’Italia degli allievi di Raffaello: Giulio Romano, Giovanni da Udine, Perin del Vaga, Parmigianino, Primaticcio, Rosso Fiorentino Jacopo Pontormo, Agnolo Bronzino, Domenico Beccafumi furono i nomi nuovi e famosi della Maniera, sorta di magnifica Fenice nata dalle ceneri dell’Umanesimo e del Rinascimento. Di Leonardo e di Michelangelo essi avevano raccolto la potenza della visione estetica. Da Raffaello trassero le inquietudini degli ultimi tempi romani. Scrive Roberto Longhi dei manieristi: «Per il temperamento erano di solito umori balzani, lunatici, spesso introversi, per non dire altro. Gli aggettivi dei biografi sono quasi sempre gli stessi: salvatico, strano, sospettoso, malinconico, solitario, filosofaccio».